"L'ultimo gong", il testo di Concetta Foti che ascolterai in questo podcast, è l'esito della fucina di lettura e scrittura "Trovare una Voce. Pratiche dello scrivere e del desiderare" a cura di Morgana Chittari un percorso base pensato per chi ha voglia di sfidarsi.
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A partire da una prima fase di lettura, analisi e scomposizione delle pagine dei libri, attraversando esercizi di immaginazione e osservazione - alcuni dei quali attinti al training teatrale – i partecipanti si sono cimentate nella creazione di un testo breve a scelta tra pagina di diario, lettera, monologo, frammento autobiografico.
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Scegliere una forma minima della scrittura molto personale, individuare un'urgenza intima del raccontare, una piccola ossessione attorno alla quale far ruotare il testo: questi i punti cardine a partire dai quali la sfida consisteva nell'uscire fuori di sè, fare un balzo oltre il reale quotidiano, allenare i cinque sensi, giocare con il ritmo e il suono delle parole tenendo conto di un lettore potenziale e di un destinatario ideale del testo.
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Una scrittura frammentaria che sgorga spontanea, senza la preoccupazione di dar forma ad una vera e propria "storia", ma che aspira a farsi narrazione non egoistica di sè, necessita sempre di essere allenata e lavorata.
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"L'ultimo gong" di Concetta Foti è il testo scelto per rappresentare il percorso di Trovare una Voce. Un frammento di diario, scritto e rielaborato, in cui la voce narrante oscilla continuamente, in un montaggio quasi cinematografico, tra sogno e veglia giocando con mantra, parole, pensieri, immagini e suoni. Pur parlando di sé Aida, la protagonista e voce narrante, ci travolge in un labirinto di sensazioni che chiunque ha assaggiato il rimpianto e la paura conosce.
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Montaggio e mix audio a cura di Carmine Prestipino.
L'ULTIMO GONG, di Concetta FotiÂ
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Raccolgo i panni nell'ora che mi fa più male. Una rauca melodia, un presagio funesto. Due vecchie con addosso uno scialle di pizzo nero ridono nascoste da una siepe e si augurano di riabbracciarsi in un ipotetico aldilà . Mi chiedo cosa ci sia da rallegrarsi tanto. Non ci accorgiamo dell'inconsistenza del nostro viavai. Abbiamo fretta, pronunciamo parole capricciose, siamo insolenti e impazienti. Iniezioni pronte, si parte, forchette e bicchieri già tintinnano, un cane ulula in lontananza.
Perché i vicini non accendono le luci? Perchè nessuno mi sente? Perchè non vedo più niente?
A morte i tramonti!
Respiro. Chiudo gli occhi. Ho vent'anni. Mi perdo nella letteratura senza ansie, sono la ragazzina dai capelli lunghi che gioca spensierata in barba ai polverosi gingilli. Una palla oltre la rete, l'entusiasmo, l'essenziale.
Respiro. Apro gli occhi. Ho quarant'anni. Mi piace giocare con la nostalgia e i buchi delle persiane. Sono di nuovo davanti a quel giardino verde e giallo.
Chiudo. C'è Eiffel in mezzo ai colori. Imponente, spigoloso. Si erge, suo malgrado:
- Questo è il mio corpo. Sono alto, ingombrante. Mi odio, vorrei sparire.
Si accorge di me.
Ti conosco - dice - ti ho vista crescere, mi fissavi da quel balcone. Il tuo sguardo mi faceva paura ma sentivo che mi capivi. Ti somiglio. Mi somigli. Sai leggere dentro gli spazi disegnati dalle mie braccia ferrose.
Apro. Un tamburo qui, proprio qui, al centro del petto. Un rullo più forte martella la gola. Non respiro. Rientro, accendo le lampade.
A morte i tramonti!
L'alba è il mio tempo. Vorrei contemplarla da quel terrazzo. Eiffel, i verdi e i gialli, un caffè forte tra le mani. Vorrei aspettarla sdraiata sulla spiaggia, cullata dal mare. Vorrei essere parte di quell'impeto, fiduciosa nel moto continuo della vita. La carezza di un'onda, la luce che dirada la notte, l'oro e il rosa che scivolano nel blu.
Il tramonto è un incubo.
Un incubo ricorrente. Ho quarant'anni. Mi chiamano dall'università .
- Mancano ancora degli esami, signorina, la laurea che ha preso non vale.
- Sbadata? Come non vale? Li ho dati tutti! Ho dato tutto!
Scappo dai rimpianti ma ho una zattera logora e non salpo mai. Guardo il cielo, solo eclissi. Vacillo. Mi nascondo nell'ombra. Non voglio che la mia si veda. Il disco gira. Ride solleticato dalla puntina. Let it be. Let it be. Let it be. Let it be.
Vorrei, mother Mary. There will be an answer. Non credo. Whisper words of wisdom. Non mi fido. Con le mani faccio finta di suonare mentre guardo allo specchio questa chitarrista improvvisata. presuntuosa amante di capelli bigi e ribelli. E’ lei, questa cenere. il tempo se ne va con il suo bagaglio. Mi sdraio sul divano e mi addormento esausta dopo l’ultima nota, ma in quel punto remoto della mente qualcuno è sempre pronto a prendersi gioco di me.
Si divertono, non smettono.Â
- Il signor Inconscio desidera?
- Il solito, grazie.
- Ecco a lei. Tra poco si sveglierà . Si affretti a godere dello spettacolo.
Il grigio stinto tinge i miei sogni e penetra i miei spazi. Si alza il vento, la porta si spalanca, la carta da parati si stacca. Quei bei mattoni rossi non ci sono più. Le finestre soccombono, le tende volano via, in fuga verso mari lontani. Piango.
Una voce lontana e solenne mi ammonisce:
Non serve. Let it be. Sono implacabile, inesorabile, necessaria. L'alba mente con le sue promesse. Ma io so essere dolce quando voglio. Se solo tu. Accettami. Respira. Aspettami. A...
A morte!
Apro gli occhi, ansimando, raggiungo la cucina, bevo deglutendo con avidità , mi irroro il viso, mi bagno la testa. Guardo fuori dalla finestra. È luna piena. Saturno mi guarda, fuma indifferente. Il cielo non ha stelle, brilla solo qualcosa di verde. Uno smeraldo con la falce. Bussano tre volte alla porta di legno, vado ad aprire. È lei, ancora lei, la donna magra, pallida, senza volto, i capelli castani e lunghi. È tornata ora come quando. Ho dodici anni. Indossa sempre gli stessi stracci. Le stesse calze nere strappate, le stesse scarpe di un tessuto logoro e scuro, lo stesso orrendo vestito bordeaux a righe nere, sdrucito. Recita una litania.
Con mani vizze e tremanti - Chi ha cercato questa donna? Chi voleva questa donna? - mi chiede
Vorrei urlare ma non emetto un gemito. Lo smeraldo verde mi sussurra.
Io! L'ho cercata io!Â
Saturno ride sinistro, la luna inizia a roteare, poi si getta in picchiata. Una palla schiacciata oltre la rete. Rimbalza, si ferma, sorride. Con voce sottile bisbiglia:Â
Questa è la sfera a cui hai rinunciato, tutto ti è stato tolto perché nulla ti è stato dato!Â
Sono caduta nel tentativo di difendermi – dico.
Un odore inconfondibile di benzina dal sedile posteriore, il pomello ambrato e la scritta " Ti amo" sul volante. La Cinquecento blu, mio fratello gioca con una macchinina. Il motore è acceso, qualcuno canta con voce calda: Don't you forget about me. Nostra madre compra le Multifilter rosse mentre una suora dal velo cinereo si accosta cantilenando al finestrino:
- Pregate, pregate, la fine del mondo si avvicina! Pregate, pregate, per questa piccolina!
Grido e mi dimeno. Mia madre corre fuori dal tabacchi. La donna si allontana ma quelle note chiedono di non dimenticare. Apro lo sportello e corro via lontano. Cado. Mi sveglio.
Mi rialzo. È quasi l'alba. Ricomincio a correre, torno a casa e a mani nude inizio a farmi strada tra fitti rovi di rose nere che vorrebbero impedirmi di entrare. Mi ferisco, i tagli bruciano ma non piango.
Urlo e mi desto.
Voglio l'amaro in bocca! Non è ancora finita! Voglio sanguinare ancora, prima dell’ultimo gong! A morte i tramonti!
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